Riflessioni

In tutti gli esempi citati stiamo in realtà dicendo che crediamo che l’amore e la felicità nella vita vengano dal di fuori di noi e che siano dipendenti dagli altri, dalle circostanze o da qualche stimolo fisico. Tuttavia, tutti sappiamo profondamente che vero amore e felicità sono incondizionati, non dipendenti da qualcosa o da qualcuno, e che si muovono dall’interno verso l’esterno e non dall’esterno verso l’interno.

Amore vero e felicità possono essere considerati stati d’essere fondamentali a cui possiamo accedere a piacimento una volta che abbiamo imparato a rivolgere le nostra attenzione alla nostra interiorità e a vivere dal dentro al fuori e non dal fuori al dentro. Essi possono anche essere considerati il nostro puro potenziale in tutte le situazioni. Quando agiamo con amore vero facciamo qualcosa per gli altri che porta loro beneficio a livello spirituale e quando ciò accade sperimentiamo le vera felicità, che è più simile a una profonda sensazione di appagamento interiore.

Questo modo di vivere affonda le sue radici nella pace. Se non siamo in pace con noi stessi non possiamo dare amore. La pace è, l’amore fa e la felicità (appagamento) ripaga. Solo allora la nostra autostima e il senso del nostro valore diventano solide rocce, perché ci rendiamo conto che questi nuclei di qualità interiori non possono esserci portati via e che essi sono la base del nostro valore in quanto persone e dei nostri valori di vita. Quando impariamo ad accedere e a generare questi stati fondamentali del nostro essere, essi ci danno la forza di smuovere il nostro carattere in positivo, da quello basato sulla competizione, sul possesso e sulla sopravvivenza a uno basato sulla co-operazione, la condivisione e il servizio. In breve, dal prendere al dare.

Quando scopriamo interiormente ciò che eravamo convinti si potesse trovare solo esternamente, scopriamo libertà e serenità profonde. Il metodo per sostenere questa consapevolezza e connessione è la pratica regolare della meditazione. Il campo di azione è la relazione con gli altri. Quando la felicità di una madre non dipende dall’obbedienza del figlio, allora è capace di ‘essere amore’ per quel figlio, anche quando imporrà delle regole. Quando la felicità di un manager non dipende dall’essere in tempo per le scadenze, né dalla performance dei membri del suo gruppo, allora saprà essere più attento e più incoraggiante verso i suoi collaboratori, il che è alla base di una leadership efficace. Quando gli innamorati si incontrano, smettono di dirsi “ti amo”, e invece si dicono “io sono amore per te”.

Domanda: Da dove pensi derivi gran parte della felicità nella tua vita?
Riflessione: La felicità è una decisione e non una dipendenza
Azione: Che cosa puoi fare domani nella tua relazione con una persona in particolare per passare dal desiderare e sopravvivere al sostenere e servire?



 

Non darti mai per vinto

Tutte le scuole di sopravvivenza sottolineano come l'organismo umano abbia in sé risorse incredibili che, però, vengono generalmente annullate da una mancata preparazione; mantenersi allenati sia nel fisico che nella disponibilità mentale ad accettare e affrontare il peggio è l'unico mezzo per non farsi cogliere impreparati.
Il problema fondamentale che, infatti, emerge, è che in realtà non è la difficoltà oggettiva ad abbattere l'individuo, quanto piuttosto la "certezza" di non farcela, l'angoscia mentale che attanaglia lo spirito e preclude ogni tentativo: se scegliere può significare dover prendersi carico, dover decidere e, inevitabilmente, dover abbandonare qualcosa, molto più facile è lasciare che tutto vada come deve andare, abituandosi ad un ruolo perdente di spettatore della stessa propria esistenza.

Ma se questo atteggiamento è di per sé sbagliato...
Ma se questo atteggiamento è di per sé sbagliato, orientato com'è alla passività e alla disabitudine al gusto della lotta, ci sono momenti particolari nella vita di ciascuno in cui il confronto con gli scogli dell'esistenza diventa inevitabile: tutti hanno incontrato o potrebbero incontrare la sfida difficile, l'insuccesso, la malattia, la morte di una persona cara. Questi sono dati di fatto, ci sono e non si può far finta di niente.
L'avere un problema, il subire un'ingiustizia, l'affrontare un lutto, non è una colpa, non è essere inferiori, è solo un problema: "abbiamo" un problema, non "siamo" un problema. Ciascuno ha in sé gli strumenti per affrontare le sfide della sua vita, per pilotare in prima persona il cambiamento, per andare oltre il trauma e ripartire, ogni volta, con rinnovato entusiasmo.

E sono proprio le situazioni estreme quelle che possono rivelare la chiave per capire la normale strada da percorrere, per questo si studiano quelli che "sono ancora qui", che sono tornati. A pochi, pochissimi, sarà chiesto di dover affrontare 20 giorni di deserto senza cibo né acqua, ma a ciascuno sarà chiesto e offerto di vivere la propria vita, il proprio qui ed ora; e, proprio come in un deserto, ognuno potrà scegliere se farsi prendere dal panico, dall'ansia, dallo stress e aspettare così, passivamente, che qualcuno o qualcosa lo tiri fuori da quella situazione, oppure potrà decidere di affrontare, come hanno fatto tutti i piccoli/grandi uomini, il deserto psicologico, incontrando finalmente se stessi. E allora il deserto fiorirà e ognuno canterà il suo canto!

Lo stare bene, la felicità, non è un dono che piove dall'alto, è una conquista che va rinnovata ogni giorno, è una "dichiarazione di guerra" alla morte e alla sconfitta, è un non darsi mai per vinti. La gioia è anche lotta. Non siamo solo foglie che inesorabilmente in autunno l'albero dismette: si possono scegliere, in tutte le stagioni, i propri "alberi" e si può vivere in tutte le stagioni cantando la propria canzone.

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